Che cos’hanno in comune proattività, performance e stress? Se si prende come esempio un ambiente lavorativo dove tecnologia e digitale sono all’ordine del giorno, potrà capitare di rilevare, in alcune specifiche situazioni, la tendenza a un incremento di stress tra i team di lavoro.
Questo può dipendere da diversi fattori, tra cui il continuo impegno della singola persona a migliorare le performance personali, spingendosi quasi al limite delle proprie capacità. L’esperienza di stress vissuta da quella persona potrebbe essere definita, visto il contesto: technostress.
Ma che cosa si intende per technostress o, nella traduzione italiana, tecnostress?
Technostress: può sembrare una parola inflazionata nel 2025. Tuttavia, questo termine ha radici più lontane, quando ancora la tecnologia aveva altre facce e una pervasività differente rispetto a oggi.
È il 1984: l’anno del lancio del Macintosh 128K da 2500$, l’anno dell’introduzione di Televideo Rai (sì, esiste ancora oggi), l’anno della prima passeggiata spaziale libera e senza cavo di sicurezza.
Già nel 1984 si parlava di technostress, ma in che senso? Lo psicologo Craig Brod introduce il termine e lo spiega nel suo libro del 1984: “Technostress: the human cost of computer revolution”. Brod parla del technostress nella società e approfondisce un tema chiave: in che modo lo stress derivante dall’utilizzo della tecnologia influisce sul benessere dell’essere umano?
Quando si parla di tecnologia, i benefici a essa collegati tendono a prevalere. Esistono, tuttavia, molte sfumature dello stesso concetto, non tutte positive. Il technostress è una di queste. Un determinato approccio alla tecnologia può avere, infatti, effetti inaspettati e sfavorevoli sull’organismo umano.
Di technostress se ne è parlato anche durante l’edizione primaverile 2025 del BrightonSEO, con speech di approfondimento e ispirazionali, come l’intervento del neuroscienziato Anthony M.A. Mangiacotti.
Lo stress dovuto all’uso della tecnologia è ormai diffuso. Nasce come risposta naturale dell’organismo a determinate situazioni. Inizialmente l’insorgenza di stress non viene associata a sfumature positive o negative, ma è con l’aumento del suo livello nell’organismo che possono comparire effetti negativi.
Se consideriamo ora il contesto aziendale, il technostress può avere un forte impatto negativo sui diversi team di lavoro, a ogni livello dell’organigramma. Parliamo ad esempio del generarsi di lacune organizzative e di conseguenze sulla produttività, della perdita di attenzione, di implicazioni a livello di gestione dei propri task, fino al diffuso burnout.
Quando si parla di technostress, si incontrano altri termini correlati, utilizzati per descrivere approcci differenti alla tecnologia, non solo nel contesto lavorativo, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Partiamo da F.O.M.O. (dall’acronimo inglese Fear Of Missing Out, termine apparso nel 2004) ovvero la paura di perdersi qualcosa. È la condizione in cui una persona è alla ricerca incessante di novità o informazioni, con l’obiettivo di colmare la sensazione continua di sentirsi esclusa. Calato in un contesto quotidiano, l’atteggiamento FOMO si associa spesso al meccanismo del doom scrolling, lo scorrere in maniera quasi compulsiva le pagine web o i social, principalmente da dispositivi digitali come smartphone o computer (scroll tramite mouse).
Nel 2011 è stato introdotto un nuovo termine, J.O.M.O. (dall’acronimo inglese Joy Of Missing Out), ovvero la gioia del perdersi qualcosa. Si tratta di un approccio totalmente diverso dal FOMO: ci si concentra solo su determinate tematiche o attività, consapevoli e liberi di poter perdersi dell’altro. Non c’è più quindi la necessità di una corsa continua al conoscere tutto, ma si mira a un proprio benessere, approfondendo temi selezionati. Alcune azioni collegate all’approccio JOMO sono la disconnessione (dalla tecnologia, dai social), la ricerca di riposo e di detox digitale.
Come poter gestire allora determinate situazioni in ambiente lavorativo in cui lo stress legato alla tecnologia sembra prendere il sopravvento? Organizzazione, flessibilità e costanza sono importanti per bilanciare gli stimoli ed evitare il sovraccarico cognitivo, così spesso collegato al technostress.
In ambito lavorativo, uno degli aspetti più impattanti del technostress riguarda l’organizzazione delle attività. Senza un focus adeguato sui propri task, si è in balia totale delle emozioni e delle sensazioni, di tempi, scadenze ed esigenze, spesso imposti dall’esterno senza conoscere il giusto contesto.
Perché allora non tracciare una mappa da seguire, una lista delle attività da portare a termine e concentrarsi bene e solo su di esse?
Quanto l’organizzazione del proprio lavoro può incidere sulla qualità, non solo del lavoro, ma anche della nostra stessa vita?
In questo caso una buona gestione dello stress (Stress Management), coordinata con l’adeguata organizzazione delle attività (Planning e Task Management) possono rivelarsi valide alleate per agevolare le attività lavorative di ogni giorno.
Alcune azioni possono aiutare a gestire al meglio la propria operatività, come ad esempio:
Si tratta di un lavoro costante, unito a un approccio indulgente e comprensivo verso la propria persona. L’organizzazione delle attività deve essere un allenamento continuo, che si costruisce partendo dal proprio modo di lavorare e dalle esigenze personali e del team con cui si collabora.
Organizzare al meglio le proprie attività può rivelarsi la chiave per affrontare in maniera migliore e con l’adeguata risposta emotiva le sfide che la propria professione riserva. Una gestione organizzata e bilanciata delle attività, inoltre, può portare a migliori performance.
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